La mostarda mantovana di mele campanine
Brucia di passione
vasetti della famosa mostarda mantovana di mele campanine
“Sic para mustum pro mustarda conficienda: accipe mustum novum, fac eum bullire quod quarta pars solum remaneat vel tertia. Et cavea fumo et spumetur bene. Deinde, semen senapi cum predicto musto distemperando tere fortissime. Postea, pone in barillo, et poterit conservari per IV menses. Et valet pro carnibus porcinis vel tincis salsatis. Mustum poteris servare pro aliis ferculis”.
“Così prepara il mosto per fare la mostarda: prendi del mosto nuovo, fallo bollire fino a che non ne rimanga che la quarta parte o la terza. Controllane il fumo e fallo schiumare per bene. Poi trita finemente il seme della senape con il suddetto mosto, stemperandolo. Ponilo poi in un barile, dove si potrà conservare per quattro mesi. E’ ideale per carni di maiale e tinche marinate. Potrai utilizzare il mostro per altre vivande”.
Il Liber de coquina è un testo di cucina trecentesco scritto alla corte angioina, uno dei più noti testi medievali sull’argomento, di cui si conservano due esemplari alla Bibliothèque Nationale di Parigi. L’autore, ignoto, ci offre una delle primissime versioni della nostra mostarda, ancora preparata con il mosto, da consumare con carne e con pesce.
Senape e mostarda: storia di un equivoco
La senape è una crocifera, pianta perenne appartenente alla famiglia delle brassicacee, e ne esistono diverse specie. Le più conosciute ed utilizzate sono la senape nera (brassica nigra) la senape bianca o gialla (sinapsis alba) e la senape bruna o scura (brassica juncea).
I semi di senape sprigionano il loro caratteristico aroma piccante solo quando vengono macinati, per ottenere la polvere di senape o farina di senape, che assume un sapore caratteristico ed unico, forte e irritante, oltre ad un odore pungente molto persistente.
Già nell’antichità la senape, originaria dell’Asia, era coltivata ed apprezzata per le sue tante proprietà, dall’antica Grecia a Roma, fino a Bisanzio: si hanno notizie della sua diffusione fin dal V secolo a.C. L’uso principale che se ne faceva era come condimento, dapprima lasciando macerare le foglie di senape nell’aceto, poi macinando i semi con aceto. Secondo Apicio, nel De Re Coquinaria, la senape era un condimento perfetto per una salsiccia di carne ripiena di farro, cotta alla griglia. Anche le bietole lessate erano da condire con olio, aceto di vino e senape. Essa era la base di una salsa legata con le uova, ma entrava anche nei condimenti della carne di cinghiale, camoscio e maiale assieme all’aceto. Apicio ricorda anche le proprietà conservanti della senape, suggerendo di trattare alcune parti del maiale con un impasto di senape, aceto, miele e sale. I romani avevano imparato questi metodi di conservazione dei cibi grazie ai loro traffici con l’Oriente: in India infatti ancora oggi vi è l’uso di preparare salse e condimenti a base di miele e senape; ne è un esempio la preparazione a base di frutta e senape chiamata chutney, molto diffusa anche in Europa, che si avvicina molto alla nostra mostarda e che si usa per accompagnare piatti di carne.
Ma è con Columella che si comprende la distinzione originaria tra mostarda e senape, grazie al De re rustica. Egli distingue la mostarda, da lui chiamata mustaceum, che si usava per conservare la carne, da quella usata per l’accompagnamento dei cibi lessi, che definiva senape, dal greco sinapsis. Questa aveva un gusto più fine ma era necessario amalgamarla con finocchi e mandorle tritate finemente.
Da parte sua il Maestro Martino da Como, nel suo libro De arte coquinaria, che scrive attorno alla metà del Quattrocento, cita la senape come accompagnamento a piatti di carne. Egli spiega come prepararla, mettendo a bagno la senape in acqua per due giorni, e poi mescolandola a mandorle pestate, aceto o succo agro di uva e mollica di pane.
Nel mondo, oggi, la salsa a base di senape è universalmente conosciuta come mustard in inglese, e moutarde in francese. In italia invece, viene chiamata semplicemente senape: qui la mostarda, infatti, è un’altra cosa.
Da Mustum ardens a Mostarda
In Francia la mostarde o moutarde è ottenuta dalla senape bianca, inizialmente (dal XII al XV secolo) secca e pressata in tavolette, poi sciolte in salse o nell’aceto. E’ la classica e universalmente conosciuta senape di Digione. Durante il Medioevo non poteva mancare sulle tavole dei francesi, per insaporire la carne salata, e la si preparava in casa, almeno fino al XII secolo, proprio come oggi si prepara la vinaigrette (anch’essa a base di senape e aceto, una ricetta antica) e la maionese. Grazie alla sua acidità, la senape permette di digerire con più facilità i cibi troppo grassi.
La preparazione che diede origine al nome mostarda, da mustum ardens, mosto ardente, deriva dalla consuetudine di preparare un composto di mosto dolce, senape e aceto. In mancanza del mosto venivano utilizzati anche miele o zucchero. Al posto dell’aceto, invece, potevano entrare nella ricetta agresta o vino aspro. Nei secoli, alla senape o “mostarda” sono stati aggiunti numerosi ingredienti quali spezie, peperoncino, vaniglia, acqua di fiori d’arancio, capperi, acciughe, champagne.
Non è ancora ben chiara l’origine della mostarda così come la conosciamo noi, ossia non un semplice condimento ma una salsa con senape e frutta candita. Ancora nell’Ottocento Pellegrino Artusi narrava nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di una salsa toscana a base di uva dolce nera e bianca da cui si otteneva il mosto, mele renette e pere, che dopo una cottura lenta venivano insaporite con senape in polvere stemperata con vino caldo. Questa è una delle ricette che si trovano qua e là in altri vecchi libri di cucina, e che somigliano sempre più alle mostarde di oggi.
La mostarda italiana, come abbiamo già avuto modo di ricordare, prevede la presenza di frutta candita e sciroppo, a cui viene aggiunta una quantità di senape che può variare di regione in regione e di famiglia in famiglia.
In Italia esistono molti tipi di salse che vanno sotto il nome di mostarda, ma le più celebri si concentrano nella zona del Nord Italia, ed in particolare in Lombardia e Veneto.
Oltre a quella mantovana, in Lombardia è da annoverare la mostarda di Cremona, preparata con vari tipi di frutta canditi in sciroppo piccante, per lo più mele, pere, pesche, fichi, ciliegie, meloni, zucca, con aggiunta di scorze d’arancia e di cedro, anch’esse candite. La mostarda veneta si differenzia invece per la consistenza della frutta, che non è a pezzi ma passata. La “mustarda” astigiana, invece, è caratterizzata dalla presenza di mosto, mele cotogne, noci, zucchero e frutta secca o fresca, ma qui si perde ogni traccia della senape.
La mostarda mantovana
La mostarda è storicamente legata alla cucina mantovana, inizialmente come prodotto di lusso: le prime notizie, infatti, ci vengono dai documenti gonzagheschi che testimoniano la presenza di questa preparazione sulla mensa dei signori di Mantova. Anche al tempo dei Gonzaga infatti, veniva prodotta e consumata per la famiglia dominante, spesso abbinata alla selvaggina. A quel tempo erano gli speziali, i farmacisti del tempo, le figure preposte alla preparazione della mostarda, che assieme a marmellate e confetture veniva poi conservata negli albarelli, vasi in vetro o ceramica. Isabella d’Este non voleva mai rimanerne senza, e anche Andrea Mantegna coltivava le cotogne per preparare squisite mostarde e gelatine. Nelle carte d’archivio compaiono denominazioni quali “refreschamenti, confetti, canditi”, che ci parlano di preparazioni a base di frutta candita o in forma di confettura. Anche il termine mostarda ritorna in diverse occasioni; persino un principesco banchetto di matrimonio, quello tra Vincenzo I Gonzaga e Margherita Farnese, prevede la presenza di “mostarda amabile per savore” nel primo servizio di cucina presentato agli sposi.
Con il passare del tempo, la mostarda ha perso il suo carattere di alimento esclusivo, grazie all’accresciuta disponibilità di zucchero e senape, e divenuta alimento popolare, che viene addirittura abbinato a un prodotto povero come la zucca nei celebri tortelli.
Ciò che rende peculiare la mostarda mantovana è l’utilizzo di un unico tipo di frutta o verdura, che viene preparata a pezzi o a fette, a differenza della mostarda cremonese e veneta.
Come spesso accade, la ricetta per preparare la mostarda varia da zona a zona e da famiglia a famiglia.
Gli ingredienti base sono mele campanine e mele o pere cotogne, preferibilmente acerbe, zucchero e senape liquida. Le ultime generazioni di contadini hanno allargato la produzione a molte altre varietà di frutta e verdura, a seconda della disponibilità, ma seguendo sempre il metodo tradizionale.
Perché sia una buona mostarda è importante la materia prima, la frutta. Essendo un prodotto territoriale, è essenziale che sia della zona e non importata. La mostarda di fattoria prevede infatti che la frutta e la lavorazione siano di pertinenza della stessa azienda agricola.
La mostarda mantovana di fattoria ha conquistato uno spazio nell’elenco dei prodotti tradizionali di qualità, ai sensi del DM 350/99.
Un prodotto antico, fatto con varietà antiche
La mostarda mantovana tradizionale, o se vogliamo usare un termine più incisivo, storica, prevede l’utilizzo di due frutti molto particolari, due varietà antiche: la mela campanina e la mela cotogna.
Questi due prodotti, grazie alle loro caratteristiche, si prestano meravigliosamente ad entrare come ingrediente principale nella preparazione della mostarda mantovana.
La mela campanina: piccola e “potente”
Diffusa tra le province di Mantova e Modena, la campanina è una piccola mela dalla buccia sottile e verde, che lasciata al sole assume sfumature rossastre. La sua polpa è dolce e profumata, e nelle nostre campagne veniva consumata come veloce merenda, o utilizzata per la preparazione di dolci. Una delle sue caratteristiche è la resistenza: nei mesi invernali, infatti, non teme il freddo e si conserva a lungo. Soppiantata dalle varietà commerciali più diffuse, oggi la mela campanina è coltivata da un esiguo numero di produttori, che l’hanno salvata dall’oblio valorizzando le sue peculiarità. Da analisi di laboratorio infatti è emerso che questa varietà di mela è ricchissima di sostanze antiossidanti, in misura di 4 volte superiore alle quantità riscontrabili nelle varietà più conosciute, e costituisce inoltre un ottimo regolatore delle funzioni intestinali.
Senza la mela campanina, non potremmo più gustare la squisita mostarda di mele mantovana, che è sempre stata preparata con questa varietà di mela, la cui polpa si presta egregiamente ad essere trasformata nella pungente salsa.
La mela cotogna: un frutto mitico
Questa mela doveva essere estremamente importante nell’alimentazione del passato, se ha dato addirittura il nome ad una delle preparazioni a base di frutta più note: la marmellata. Il termine deriva infatti dalla parola portoghese marmelo, che significa appunto mela cotogna, dal greco μελίμηλον, “mela di miele”. La tanto vituperata mela cotogna è infatti una delle piante da frutto più antiche, già presente 4.000 anni fa nei frutteti di Babilonia; simbolo di amore e di fertilità, presso i greci era considerata sacra ad Afrodite. Il cotogno produce due tipi distinti di frutti: le mele e le pere, che non sono consumabili fresche, essendo la polpa troppo dura e poco dolce. Una volta cotto però, questo frutto rivela proprietà straordinarie, divenendo dolcissimo e con un delicato sentore di miele, da cui il nome assegnato dai greci. E’ ideale per la preparazione di mostarde, confetture, gelatine, distillati e liquori. Uno dei prodotti più noti preparati con la cotogna, a parte la mostarda mantovana, è la cotognata, che in molte famiglie e aziende agricole del mantovano ancora si produce.
Le nostre nonne inoltre, usavano lasciare le cotogne nei cassetti della biancheria per profumarla. Ha proprietà tonico-astringenti, antinfiammatorie dell’apparato digerente, emollienti e sedative.
Valori Nutrizionali
Nonostante il processo di canditura, la mostarda conserva l’alto contenuto di fibre e vitamine (soprattutto la A) della frutta. Pur essendo un alimento energetico, solitamente viene servito a fine pasto, in quanto favorisce la digestione: grazie alla senape infatti, esercita un alto potere stimolante sulla produzione dei succhi gastrici.
Conservazione
Secondo alcuni la mostarda non andrebbe conservata in frigorifero: lo zucchero e la senape agirebbero infatti sulla mostarda come conservanti. Sarebbe buona norma, invece, per ragioni di sicurezza alimentare, tenere il barattolo aperto in frigorifero.
Dopo l’apertura del barattolo, è bene consumare la mostarda nel giro di breve tempo, se non si vuole perdere la sua piccantezza: l’olio essenziale della senape è volatile si affievolisce con il passare dei giorni, e dopo circa 6 mesi dalla produzione, esso inizia ad indebolirsi, anche se la confezione è non è mai stata aperta.
Consigli e curiosità sulla senape
La senape aumenta l’ossigenazione del sangue, favorisce i processi digestivi e stimola la secrezione gastrica. E’ un ottimo revulsivo e diuretico, stimola il calore nel corpo, combatte la febbre, elimina i gas ed è utile in caso di gotta o artrite.
I semi di senape polverizzati si usano come deodorante per lavare le mani dopo aver maneggiato cipolla, candeggina, pesce o qualunque sostanza dall’aroma forte e non troppo gradevole; essi servono anche per levare il cattivo odore alle stoviglie.
Nel sedicesimo secolo nacque a Orleans la prima corporazione di “senapieri”, seguita mezzo secolo dopo da quella di Digione e nel 1634 quest’ultima località ottenne l’esclusiva sulla preparazione della senape: i commercianti avevano l’obbligo di indossare abiti puliti, tenere un solo negozio e marchiare con il loro nome botti e giare.
Papa Clemente VII de’ Medici amava oltremodo senape e mostarda, e lanciò una vera e propria moda nei banchetti del tempo. Chi regalava senape e mostarda di qualità al papa godeva di particolari favori, tanto che i privilegiati venivano definiti “il senapiere del papa”.
Nella Bibbia Gesù Cristo dice: “…Egli è come un granello di senapa che, quando si semina in terra è il più piccolo di tutti i semi ma poi cresce e diventa il maggiore di tutti i legumi…” (Marco 4, 30-32). Il granello di senape rappresenta la Chiesa.
Coloro che hanno i piedi maleodoranti possono aggiungere dei semi di senape all’acqua del pediluvio.
Un impiastro di senape provoca un effetto emolliente, cura i raffreddori e allevia il dolore di artriti, reumatismi e geloni.
Applicazioni con farina di senape, per esempio sotto forma di impacchi, sono ottime in caso di artriti e dolori reumatici, così come dolori e gonfiori alle articolazioni.
Grazie alla sua essenza, la senape ha un effetto fortemente irritante per la pelle e stimolante dell’irrorazione sanguigna, riscaldando diversi livelli del derma.
Nello stesso tempo, essa attiva il metabolismo dei tessuti, elimina le sostanze che sono le cause principali di dolori.
L’emicrania ed i mal di testa cronici possono derivare da disturbi circolatori e pressione bassa. Un pediluvio a base di senape agisce favorevolmente sulla circolazione del sangue, stimolandola.
In india la senape, oltre ad avere un utilizzo alimentare, possiede anche una valenza rituale e simbolica. Le porte delle abitazioni, ad esempio, sono cosparse di olio di senape in occasione di una visita da parte di persone importanti.
Reazione chimica
Il gusto piccante della senape è dovuto all’isotiocianato di allile, che si forma tramite la fermentazione sinapica per azione dell’enzima mirosina sul mironato di potassio o sinigrina. Questo composto chimico è una forma di difesa della pianta della senape dagli erbivori: essendo una sostanza potenzialmente tossica e dunque dannosa anche per la pianta stessa, viene conservato nella forma di glucosionato, separato quindi dall’enzima. Quando l’animale addenta la pianta, si libera immediatamente l’isotiocinato di allile che funge da repellente.
Commercialmente, il composto viene ottenuto per reazione del cloruro di allile con il tiocianato di potassio, ed è chiamato olio essenziale di senape sintetico. L’isotiocianato di allile si può ottenere anche per distillazione a secco dei semi: si distillano in corrente di vapore acqueo i semi maturi, generalmente di Brassica nigra o Brassica juncea, dopo averli liberati per pressione dal grasso e macerati in acqua. Con questo processo si ottiene l’olio di mostarda volatile o olio di senape naturale.
Il composto, sia chimico o naturale, è ricco in zolfo, per questo la senape liquida può scolorire i cucchiai d’argento che vi rimangono immersi. E’ un potente lacrimogeno, ed è moderatamente tossico.
Il gusto piccante dell’olio di senape decresce con il tempo, per progressiva riduzione dell’isotiocinato di allile, che è una molecola volatile ed estremamente reattiva. Il calo è legato anche all’aumento della temperatura, dunque è consigliabile, volendo mantenere la piccantezza della senape e della mostarda, conservarla al fresco.
Fotoricetta: come si prepara la mostarda mantovana passo a passo
Ingredienti
Mele o pere cotogne o mele campanine (o qualsiasi altro ingrediente da cui si possa ricavare la mostarda) piuttosto acerbe
300 g di zucchero per ogni kg di frutta
Essenza di senape o olio naturale di senape
Procedimento:
1 – Sbucciare la frutta
2- Tagliare la frutta a fette sottili
3 – cospargerla con lo zucchero e lasciar riposare per 24 ore.
4 – Dopo 24 ore lo zucchero avrà agito facendo fuoriuscire dalla frutta lo sciroppo
5 – Scolare la frutta raccogliendo tutto lo sciroppo in una casseruola
6 – Far bollire lo sciroppo per una decina di minuti, in modo da addensarlo per bene
7 – versare lo sciroppo ancora bollente sulla frutta e lasciar riposare 24 ore.
8 – Ripetere le ultime due operazioni per altre 2 volte.
9 – Alla fine del lungo procedimento, far bollire insieme sciroppo e frutta per qualche minuto, fino a che la frutta non assumerà un colore caramellato.
10 – Lasciar raffreddare e pesare.
11 – Aggiungere dalle 8 alle 20 gocce di essenza di senape liquida per ogni kg di frutta cotta, a seconda della piccantezza che si intende ottenere. Se si utilizza l’olio naturale di senape, la quantità da considerarsi è circa il doppio.
12 – Mescolare ed invasettare in contenitori di vetro a chiusura ermetica.
Note:
In gergo, far ripassare la frutta nella padella si dice “friggere”, ma non bisogna farsi ingannare: l’olio non c’entra nulla e non entra assolutamente nella preparazione della mostarda. E’ un modo per far capire che la frutta va fatta asciugare per ottenere il famoso color caramello che contraddistingue la mostarda mantovana.
Nella ricetta della mostarda non abbiamo inserito un elemento che però le rasdore mantovane utilizzano in abbondanza: sono le fettine di limone, che aromatizzano la salsa piccante e vengono cotte assieme alla frutta. La quantità è a discrezione della cuoca, l’importante è non esagerare per non coprire completamente il sapore dell’ingrediente principale.
Il numero di gocce di senape è una questione ardua da dirimere, ognuno ha la sua versione delle quantità. Il consiglio è quello di non cadere nell’errore di essere troppo estremi, mettendo poca senape, ottenendo così qualcosa di molto simile ad una confettura, o troppa, rischiando di lasciare gli ospiti letteralmente a bocca aperta.
La ricetta dei tortelli di zucca
Per 4 persone
Per la sfoglia:
3 uova
300 g di farina
Per il ripieno:
1 e ½ kg di zucca mantovana
150 g di amaretti
70 g di mostarda mantovana di mele
noce moscata
scorza di mezzo limone grattugiata
1 hg di formaggio grana grattugiato
Per il condimento:
formaggio grana grattugiato a piacere
burro
salvia
1 – cuocere la zucca al forno o al vapore, dopo averla tagliata a pezzi e privata dei semi
2 – una volta cotta, eliminare la buccia e schiacciare bene la polpa.
3 – unire alla zucca gli amaretti pestati, la mostarda tritata fine, la noce moscata, la scorza di limone e il formaggio, la cui dose aumenterà nel caso l’impasto non fosse sufficientemente consistente. L’impasto ben amalgamato andrà poi fatto riposare per un giorno in frigorifero.
4 – preparare la sfoglia con uova e farina e posizionare piccoli mucchietti di pesto a distanza regolare, e con l’apposita rotellina tagliare i tortelli della forma desiderata (vedi pagina a fronte) premendo bene sui bordi per evitare la fuoriuscita del ripieno durante la cottura.
5 – cuocere i tortelli così ottenuti in acqua salata e una volta scolati, distribuirli in una pirofila a strati alternati con il condimento di burro fuso, salvia e formaggio grana grattugiato. Lasciar riposare qualche minuto e servire.